Lui in campo, centravanti da 15 gol a stagione. Lei sugli spalti e fra le panchine, appassionata tifosa e fotografa dell’Amaro che nel campionato di calcio Carnico si difende con onore da circa sessant’anni. La seconda categoria non è esattamente la seria A e il quarantunenne Alain Schiratti, falegname di professione, non è Francesco Totti. «Ma il pallone è per noi un bel pezzo di vita perché anche Cristina giocava», dice Alain che proprio oggi riprende a lavorare fra colle e segature. Riprende dopo un grande gesto d’amore: il 23 agosto ha donato a sua moglie, sofferente, un rene. E donandolo ha salutato la sua grande passione. «Non avrei mai immaginato di smettere di giocare per questo motivo ma rifarei tutto senza battere ciglio. Il suo volto felice vale più di mille gol. È tornata anche a guidare».
L’incontro e i problemi di salute
La vicenda di Cristina e Alain è profonda e delicata come certe storie di gente semplice. Si conobbero in una discoteca nel 1999, lui giovane operaio a Buja, lei trentunenne aiutante d’asilo sempre nel Friuli paesano dell’entroterra di Udine. Non un colpo di fulmine ma un innamoramento cementato nel tempo e dal matrimonio. Fino a quando, un anno fa, la salute di Cristina ha preso a scricchiolare seriamente. «Problemi renali ne ha sempre avuti, ma in quel periodo mia moglie ha cominciato con la dialisi e a stancarsi molto». Cristina aveva bisogno di un rene nuovo. «Tornata da una visita a Treviso, una sera mi disse che poteva fare il trapianto d’organo anche da persona vivente. Non ci ho pensato due volte: te lo do io». C’era il problema della compatibilità e c’era quello delle perplessità di Cristina. «Non voleva danneggiarmi ma al tempo stesso mi diceva che io ero l’unica persona dalla quale avrebbe accettato il trapianto». Alain cercava di rassicurarla in tutti i modi: «Ma guarda che non mi cambia niente, le dicevo. Farò una vita normale, anzi, sarà anche più bella se tu stai bene». Alla fine l’ha convinta. «Non smetteva di chiedere ai dottori cosa sarebbe successo a me: quali problemi, se potevo tornare a giocare…».
La scelta di donare e l’intervento
Superate le varie visite, accertata la compatibilità, il 22 agosto scorso sono entrati insieme all’ospedale di Udine. «Lei al padiglione 8 in nefrologia, io al 15 in chirurgia. Quella sera ci siamo salutati facendo una piccola festa con fratelli e sorelle anche per sdrammatizzare. Cristina era molto tesa… A proposito, vorremmo ringraziare tutti i dottori, anche quelli di Gemona». Dopo l’intervento, passati quattro giorni e qualche acciacco, l’incontro più palpitante. «Appena ho potuto sono andato da lei, a piedi, non vedevo l’ora. Quando mi ha sorriso al di là del vetro ho provato una gioia immensa».
La convalescenza e il saluto alla sua squadra
Il resto è storia delle ultime settimane. Con Cristina che muove i primi passi, che esce dall’ospedale, che inizia a togliere di tanto in tanto la mascherina. E Alain che cerca di tornare alla sua forma. «Una nuova, bella normalità, anche se non potrò più strapazzarmi troppo». Ha già ripreso a segare e piantare chiodi. Per lei i tempi saranno più lunghi, ci vorrà forse un anno. Irresistibile e fatale, la partita dell’Amaro. «Domenica scorsa giocava in casa, siamo andati a salutare tutti, una grande emozione». Il sogno di Alain? «Che Cristina viva come una donna normale, che non si stanchi subito. Anche una crociera per il ventesimo di matrimonio. E magari tornare a giocare qualche minuto con l’Amaro, un destro a giro, un gol dal limite, con Cristina a fare una bella foto dal campo».