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Storie di Sport – Addio a Ezio Vendrame, antieroe poeta del calcio italiano

Oggi si è spento a 72 anni uno dei più grandi geni (inespressi) del nostro calcio. Calciatore, poeta, scrittore, uomo insofferente alla forma: Ezio Vendrame era tutto questo. Nel 1969, quando gioca nel Siena, prende 300.000 lire di stipendio. Durante il pungente inverno toscano va in una boutique e compra un cappotto di montone da 70.000 lire, esce dal negozio e, mentre indossa il cappotto, vede lungo il corso senese un ragazzo rom di 12 anni che sta morendo di freddo perché gira con una maglietta con i buchi e le scarpe bucate, lui – senza pensarci due volte – si toglie il cappotto e glielo regala. “Non ho avuto mai così caldo in vita mia”, dirà qualche anno più tardi ricordando questo episodio.

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Friulano doc, un personaggio atipico, anticonformista ma altamente politically correct. Ezio Vendrame, infanzia difficile, amico di Piero Ciampi, poeta e rubacuori del calcio. Ha scritto libri, poesie magnifiche, ha fatto tanti sbagli (ma che considerava i “capolavori della sua vita”), errori che lo mettono di diritto nell’olimpo degli antieroi. Il “George Best italiano”, e come il ben più noto campione nordirlandese, condivideva talento ed estro sul rettangolo verde. Peccato che Ezio, del professionista, aveva ben poco. Un artista. Che dei soldi se ne sbatteva: gli bastava guadagnare il giusto per fare la vita che voleva: libera. Come ad esempio durante la parentesi napoletana (1974-1975), dove disputa tuttavia solamente tre partite in campionato, prima voluto e poi osteggiato dall’allenatore azzurro Luis Vinício, si ricorda la tribuna di Cagliari, un aneddoto che qualche anno fa lo stesso Vendrame raccontò: “Mai fui più felice di andare in tribuna. All’aeroporto conobbi una ragazza che poi venne al Sant’Elia a vedere la partita. Mi sedetti vicino a lei e, dopo qualche effusione, scendemmo nei bagni e giocai la mia partita, mentre i miei compagni giocavano la loro poco più giù, in campo”. Al calcio rimase legato allenando gli unici ai quali pensava di poter insegnare qualcosa, i giovani. “Ma sarebbe bello allenare una squadra di orfani”, ebbe a dire lui, che aveva vissuto l’infanzia in un istituto. È morto stamattina nella provincia di Treviso, ha perso la sua battaglia con un tumore e da tempo si era ritirato dalla vita pubblica. La sua scomparsa non sarebbe legata, secondo le prime informazioni, al coronavirus. Nell’ottobre scorso si era lasciato andare nella sua ultima intervista: “Se devo parlare con degli imbecilli, preferisco morire di solitudine”. Buon viaggio, gli sia lieve la terra.

Andrea Fiorentino

 

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