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L’ex Napoli Corneliusson: “Maradona? Non è possibile confrontarsi con gli alieni”

Maradona

Karl Corneliusson, ex calciatore del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del magazine svedese Sport Bladet. Ha raccontato tantissimi aneddoti sulla sua esperienza partenopea, parlando anche di due volti storici dello staff azzurro: Starace e Carmando.  “In Italia di solito si dice che viene prima la chiesa e poi il calcio, ma a Napoli è il contrario. È un cliché, ovviamente, ma a Napoli, come per molti di questi cliché, è vero. È la vendetta del povero, l’opportunità di sentirsi un vincitore in una vita altrimenti persa… tutto questo”, ha affermato.

Corneliusson sulla 10 di Maradona

“Il Napoli l’aveva ritirato il numero 10 ma in serie C non glielo permisero. Toccò spesso a me indossarla. Ecco… non è possibile confrontarsi con gli alieni. Avrei preferito non averla. Era troppo grande, per me. Per la maggior parte dei ragazzi della mia età, Maradona era dio. Ancora oggi quando parlo con qualcuno mi fanno due domande: la prima è se Dan Corneliusson (che in Italia giocò nel Como diventando famoso per un gol  che eliminò la Juventus dalla Coppa Italia 1985/86, ndr) è mio padre; la seconda è se davvero avessi giocato col numero di Maradona. Io avevo due magliette a partita, e ogni giocatore avversario voleva scambiare la maglia con me. Mai cambiata con nessuno. Oggi ne ho regalate alcune, ma ne ho ancora due o tre a casa”.

Corneliusson: “Razzismo puro contro i napoletani”

“Sono stato in pochissimi altri posti al mondo in cui le persone sono così calde. I napoletani hanno un’identità culturale molto forte e chiara, hanno un loro tipo di umorismo e un dialetto che quasi salta, e diventa una lingua a sé stante. Ho sperimentato sia il modo in cui si guardano, sia il modo in cui gli italiani del nord guardano “i terroni”. Confina davvero col razzismo puro, sono visti come creature di livello inferiore e sporche. L’Italia è un vecchio paese fascista, in fondo”.

La partita d’addio di Ciro Ferrara

“De Laurentiis ci portava alle sue anteprime cinematografiche. Una volta mi sono seduto a cena accanto a Danny DeVito, perché ero l’unico in grado di parlare inglese. Mio Dio, quanto era piccolo. Ma se mi chiedi di scegliere un solo momento da ricordare dell’anno a Napoli, è semplice: la partita d’addio di Ciro Ferrara. Ci accompagnano allo stadio, entriamo nello spogliatoio e ci troviamo i giocatori che Ferrara ha invitato. Per me è stato come entrare nel mio vecchio album Panini del 1986. C’era Michael Laudrup, c’era Michel Platini, c’era Careca… assurdo.

La metà di tutti i miei idoli erano raccolti in quello spogliatoio. E poi arriva Maradona. Era davvero lì. Lo abbiamo incontrato con la squadra. C’era Roberto Sosa, un omone grande e grosso, che cominciò a piangere come un bambino: “Adesso posso morire! Ho mia moglie, i miei figli e ora questo, la mia vita è completa”, ripeteva”.

Serena Grande

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