In una lunga intervista rilasciata a La Repubblica, Ciro Ferrara racconta il Maradona che conosceva, il vicino di casa, oltre che il compagno di squadra, il suo rumore e la sua vivace voglia di vivere. Posillipo, Via Scipione Capece n°3, lì Maradona si allenava in solitudine, costruiva i sogni di un’intera città, di un intero popolo. Ferrara spende parole di sincero affetto e profondo amore per il fenomeno argentino scomparso, per insufficienza cardiaca acuta, che lascia una ferita aperta. Idolo di generazioni, santificato dal folklore partenopeo che lo ha reso quasi divino, accostato ai simboli sacri della città, in contrasto con la sua straripante umanità. Generoso, modesto e umile in campo. La sua vita, divisa tra ombre e luci, ci consegna una persona, prima che un personaggio, particolarmente controverso e genialmente eccessivo. Ha lavorato parecchio per dare il massimo e il suo calore, il suo sorriso profondo e accattivante, la mentalità vincente che ha dato al sofferente popolo napoletano non può essere dimenticato.
Ciro Ferrara racconta “il suo” Diego: “Aspettava che lo spogliatoio si svuotasse per dirti che avevi sbagliato”
Ferrara, cos’era quel rumore?
<<Un tapis roulant. Diego si era sistemato una specie di palestra in cantina, sapete, i nostri era tempi artigianali. Ci correva sopra. E lo faceva anche quando non veniva ad allenarsi con noi, quando era rimasto a dormire un po’ troppo, quando tutti lo davano per perso: e invece Diego galoppava da solo, là sotto>>.
Immaginiamo il suo dolore, adesso. Prova a raccontarcelo.
<<La parola giusta è amore. Ho cominciato ad amare Maradona quando avevo diciassette anni, giocavo nel Napoli e gli davo del lei. E ho continuato per trent’anni. Bellissimi. Perché non c’erano distanze, non c’erano oceani tra noi. L’ho stimato, l’ho conosciuto credo come pochi ma amato come tantissimi: era impossibile non farlo>>.
Perché Ciro?
<<Per la sua profonda, straripante umanità. Per la vicinanza con tutti. Era un dio, ma nessuno è stato più umano di lui. Mai una volta l’ho visto salire sul piedistallo, essere superbo. Quando doveva dirti che avevi sbagliato un pallone, un passaggio, una giocata, aspettava che lo spogliatoio si svuotasse, ti prendeva da parte e ti spiegava. Nella mia vita, Diego è stata una presenza immensa>>.
Più intensa la luce o più profonda l’ombra?
<<Non si possono separare e non sarebbe giusto. Lui non si è fatto mancare niente, ha vissuto ogni cosa al massimo, smodatamente. A volte, la notte sentivo alzarsi dal garage il rombo della sua Ferrari. E’ così il giorno dopo, al campo d’allenamento, quando Diego tardava e i compagni mi guardavano interrogativi, “e allora, Ciro, che fa?”, io rispondevo: “ragazzi, mi sa che oggi non viene”, ma poi lo trovavo ad allenarsi da solo, come un forsennato.
Si è fatto mai bastare quel talento immenso?
<<Mai. Ha lavorato sodo, è stato uno di noi, uno per tutto. Mi ha fatto vincere e mi ha fatto diventare un uomo>>.
E’ possibile immaginare Maradona nel calcio di oggi?
<<Sarebbe sempre il più grande, senza confronti. Sarebbe ancora il Sole al centro dell’Universo. Avrebbe per sé più scienza, forse più protezione ma alla fin fine si sarebbe sempre il più forte calciatore di tutti i tempi>>.
C’è una frase di Maradona che più di altre le è rimasta dentro?
<<A lui piaceva tanto quella che dice: chi ama non dimentica, è il tempo non conta niente>>.
Ma alla fine chi era Diego?
<<Un generoso nato. Una persona che si dava senza risparmio, ogni giorno e a tutti. Se lo avessero circondato in duecento, e se avesse sentito in quel trambusto la mia voce, lui si sarebbe fatto largo per venirmi ad abbracciare. Ecco chi era. Tutta vita, e basta>>.