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Roma, l’ex presidente Pallotta: “Stadio? La Coca-Cola era pronta. Monchi fu un errore. Su Totti e Zaniolo…”

Pallotta

In un’intervista a The Athletic, l’imprenditore statunitense, ex patron giallorosso, dice la sua sulla questione stadio, su un rapporto mai davvero decollato con Monchi e con l’ambiente romano.

Roma, l’ex presidente Pallotta: “Stadio? La Coca-Cola era pronta. Monchi fu un errore. Su Totti e Zaniolo…”

“La Roma sarà sempre nella mia testa e nel mio cuore, è stata una parte importante della tua vita. A posteriori ci sono cose che avrei fatto diversamente, ma nei primi dieci mesi di presidenza ho imparato molto. Stadio? Avevamo trovato molti grandi sponsor, tra cui la Coca-Cola, avevamo una super formazione di sponsor che volevano essere coinvolti nel progetto. Fa male non avere lo stadio oggi. Siamo arrivati al punto di ipotizzare di metterci anche una struttura per cremare o un cimitero per le ceneri dei tifosi che volevano fossero sparse sul campo. Sarebbe stata la struttura più utilizzata nell’Europa del Sud ed era un’enorme opportunità di generare ricavi. Monchi? Mi prendo tutta la colpa di essermi fottuto da solo. Under e Kolarov sono stati buoni acquisti, ma ci sono stati errori costosi. Io ero un buon trader perché facevo le cose con la mia testa, anche se i miei analisti dicevano qualcosa di diverso. Ho commesso alcuni errori ma l’obiettivo è fare bene più di quanto fai male. Sono rimasto a guardare e fu un errore. Non accettava aiuti esterni, sentiva di dover dimostrare che era Monchi, che non avrebbe ascoltato nessuno o considerato i nostri dati. Non conosceva nemmeno Zaniolo. L’altro errore che ho fatto è che avrei dovuto realizzare che si chiama da solo Monchi: è come chiamarsi da soli Madonna. Piano B? Non puoi avere un piano B se non hai un piano A. E non penso che avesse un piano A. Io, Baldini e Monchi ci siamo visti a Londra diverse volte in una stanza privata accanto al Baumont hotel. In questi incontri diceva tutte cose giuste. Mi prendo l’intera colpa per averlo scelto. Salah? L’ho amato, non volevo venderlo, ma non avevo scelta. E lui sarebbe andato via comunque, perché voleva dimostrare quanto valesse. Avrei tenuto anche Alisson, ma la Roma non poteva eguagliare lo stipendio offerto dal Liverpool a causa dei ricavi mancati dallo stadio. Totti? Voleva allenare. Gli dissi che doveva capire che per allenare non solo avrebbe dovuto studiare, ma farlo per 80 ore a settimana e che non capivo perché volesse fare quello. E allora gli abbiamo portato dei professori e abbastanza rapidamente decise che allenare non fosse la cosa giusta per lui. Gli dissi che aveva uno stile di vita bello e che il contratto di 6 anni da dirigente, che per molte persone era un ottimo contratto con molti soldi, lo avrebbe abituato a uno stile di vita leggermente diverso. E abbiamo parlato di coinvolgerlo nel marketing e nello staff degli sponsor, in modo tale che avrebbe potuto aiutare a chiudere certi affari. Da possibile direttore tecnico aveva degli input, e noi veramente volevamo che ne avesse anche di più. Lo abbiamo invitato numerose volte a Boston per le riunioni, a Nantucket, a Londra”.

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