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Serie A, troppi stranieri o non è un calcio per italiani? L’inchiesta di Sportweek

Serie A sempre più straniera. Oppure: non è più un calcio per italiani. Come titoli, cominciano a essere ripetitivi. Non fanno più presa. Perché il trend è ormai questo, inutile sorprendersi. E il fenomeno sembra irreversibile, ne è convinto anche chi prova a mettere un freno, con la convinzione che da una Serie A più italiana potrebbe trovare giovamento anche la Nazionale, per la seconda volta di fila esclusa dal Mondiale.

Serie A, troppi stranieri o non è un calcio per italiani? L’inchiesta di Sportweek

Anche se non tutti sono convinti che sia il sovraffollamento di stranieri la causa dei problemi dell’Italia di Mancini (che, ricordiamo, nell’estate del 2021 ha vinto l’Europeo). Quando si scatenò l’uragano Bosman, nel 1995, nel nostro massimo campionato c’erano 60 stranieri, il 14% del totale. Poi, dopo il picco del 2001-02 (36%), si era scesi fino al 28% del 2006-07, nella stagione successiva al trionfo azzurro al Mondiale. Da lì in poi, la crescita è stata inarrestabile, fino al dato attuale: 61% (si sale addirittura al 66% se si considerano solamente gli stranieri che hanno giocato almeno un minuto). Se la Premier ci sta davanti (65,79%), alle nostre spalle ci sono gli altri tre maggiori campionati europei: Bundesliga (54,55% di stranieri), Ligue1 (52,64%) e Liga (39,72%).

L’Assocalciatori ha da tempo lanciato l’allarme: “Partiamo dal presupposto che non potranno esserci norme coercitive per far giocare gli italiani, c’è la libera circolazione in Europa – spiega il presidente Umberto Calcagno –. Si può contingentare la presenza di stranieri attraverso norme già esistenti sugli extracomunitari, ma è una goccia nel mare. Noi puntiamo con forza alla cancellazione delle agevolazioni fiscali previste dal Decreto Crescita, chiederemo al nuovo governo di abrogare questa disparità di trattamento”.

La tassazione attualmente scende dal 45 al 25% per i lavoratori che non sono stati residenti in Italia nei due anni precedenti e che si sono impegnati a farlo nei due successivi. Da maggio ciò vale, però, soltanto per ingaggi da un milione di euro in su, “e questo è anche un nostro successo – precisa Calcagno –. Stiamo cercando di limitare i danni, e in parte ci siamo riusciti, ma l’aspetto fiscale è diventato preponderante, vedo molti dirigenti con la calcolatrice in mano”.

“I troppi stranieri sono un problema perché alla fine si sviliscono gli investimenti fatti nei settori giovanili, non producono vera ricchezza per i club – spiega Demetrio Albertini, presidente del settore tecnico federale –. La soluzione? Non bisogna essere degli scienziati, basta copiare quello che fanno da anni altrove: seconde squadre e riequilibrio del mercato interno”

In Serie A la squadra con più italiani che nelle prime 8 giornate sono scesi in campo o sono andati almeno una volta in panchina è il Monza (74,19%), quella con il maggior numero di stranieri è invece l’Udinese (82,76%). Adriano Galliani, a.d. della società brianzola al suo primo campionato di A, già questa estate aveva spiegato la scelta: “È una filosofia precisa del presidente Berlusconi, che io condivido. Gli stranieri impiegano del tempo ad ambientarsi, quindi essendo la prima parte della stagione molto compressa, con moltissime partite, il rischio è che prima che si ambientino noi siamo già retrocessi”.
Quello dell’Udinese, invece, è un modello vecchio di decenni che ha permesso al club di fare milionarie plusvalenze con giocatori stranieri semi-sconosciuti valorizzati in Friuli, plusvalenze che le hanno garantito la sopravvivenza e la permanenza nel campionato di Serie A ininterrottamente dal 1995-96. “Noi abbiamo un settore giovanile che viene praticamente dal Friuli – ha detto il patron Giampaolo Pozzo – ma in un contesto così globalizzato è difficile avere giocatori regionali”.

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