Da Spalletti a Conte, il Napoli ha cambiato pelle. Non solo in campo, ma soprattutto nelle stanze del potere. Due allenatori diversi, due approcci quasi opposti, ma entrambi in grado – a loro modo – di lasciare un’impronta profonda nella storia recente del club.
Conte e Spalletti, due Napoli a confronto: tra rivoluzioni silenziose e scossoni visibili
L’arrivo di Antonio Conte sotto il Vesuvio ha rappresentato un cambio di paradigma. La sua figura, riconosciuta e temuta nel panorama calcistico europeo, ha immediatamente generato una trasformazione tangibile all’interno della società partenopea. Il tecnico salentino ha ottenuto sin da subito una centralità che raramente si è vista in precedenza a Napoli. Ha dettato le linee del mercato, ha alzato l’asticella delle aspettative e ha portato con sé un clima di rigore e determinazione che si è riversato direttamente sulla squadra. Una leadership che ha fatto breccia anche nei corridoi del club, spingendo Aurelio De Laurentiis a rivedere parte della sua storica gestione accentratrice. Conte, con il suo profilo da condottiero, è riuscito a ottenere margini d’azione che nessuno dei suoi predecessori aveva mai avuto, facendo sembrare naturale ciò che fino a poco tempo fa appariva impensabile: un Napoli modellato su misura per il suo allenatore.
Da come evidenzia TMW, di tutt’altro tenore fu l’approdo di Luciano Spalletti. Il tecnico toscano arrivò a Napoli in punta di piedi, in un contesto ancora da ricostruire. Il suo fu un lavoro certosino, paziente, quasi artigianale. Come un agricoltore che semina e attende i frutti, Spalletti ha costruito un capolavoro con il tempo, con i dettagli, con l’intuizione. Il Napoli dello scudetto è stato il frutto di una faticosa coltivazione, maturata lentamente, senza proclami né titoli in copertina. Eppure, proprio quell’umiltà e quella coerenza hanno fatto di Spalletti l’uomo giusto al momento giusto. Il tecnico di Certaldo ha dato al Napoli un’identità di gioco affascinante e dominante, una squadra che ha incantato l’Europa e riportato il tricolore sotto il Vesuvio dopo più di trent’anni.
Oggi, con l’autobiografia dello stesso Spalletti a rievocare frizioni e malumori con il presidente, il confronto tra le due ere si fa inevitabile. Da un lato il tecnico-filosofo, capace di plasmare un gruppo a sua immagine con il lavoro e la pazienza. Dall’altro, l’allenatore-soldato, che impone la sua visione e chiede – ottiene – strumenti all’altezza per raggiungere i suoi obiettivi.
Andrea Alati