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“So di non avere speranze, ma voglio vivere”: il coraggio di Matteo Materazzi nella battaglia contro la SLA

L’ex calciatore e agente sportivo racconta la sua malattia in un’intervista toccante: “Non mi salverò, ma forse aiuterò altri. E ogni notte sogno di correre”

“So di non avere speranze, ma voglio vivere”: il coraggio di Matteo Materazzi nella battaglia contro la SLA

Matteo Materazzi affronta la SLA – sclerosi laterale amiotrofica – con una lucidità disarmante e una forza interiore che commuove. In una lunga intervista concessa a Repubblica, l’ex calciatore e attuale agente sportivo, 49 anni, racconta con parole semplici e dirette la sua quotidianità segnata da una malattia che non lascia scampo, ma che non gli ha tolto la voglia di combattere. E di vivere, finché potrà.

“Questa malattia ti toglie qualcosa ogni giorno. Mi devono aiutare a fare tutto: andare in bagno, salire in auto, mangiare. Muovo ancora le mani, ma non riesco più a sollevare il braccio”.

Con la voce rotta ma lo sguardo lucido, Materazzi si collega dalla Sardegna, da Porto Taverna, luogo simbolico e carico di memoria per la sua famiglia: “Era il nostro punto di ritrovo, mi ricorda mia madre, che era di Cagliari. L’ho persa quando avevo 13 anni per un tumore. Nessuno mi spiegò che stava morendo, per questo io ho voluto dire tutto ai miei figli, Geremia e Gianfilippo. Devono avere il tempo per metabolizzare”.

“Con questa malattia è vietato sperare. Ma io voglio vivere”
Consapevole che la SLA non lascia spazio a illusioni, Materazzi rifiuta l’idea di rassegnarsi.

“Con la mia malattia è vietato sperare, ma io voglio vivere, anche per chi non ha i mezzi per affrontare questa battaglia. Ogni giorno penso a chi non può permettersi le cure o l’assistenza minima per vivere dignitosamente”.

Materazzi guarda oltre sé stesso: lancia una raccolta fondi non per sé, ma per contribuire alla ricerca su una cura genetica che possa aiutare altri, oggi o domani. L’obiettivo? Raccogliere 2,5 milioni di euro per finanziare due progetti di ricerca:

1,5 milioni per la Columbia University, che studia la produzione di un ASO (oligonucleotide antisenso) specifico per la mutazione genetica che ha colpito lui e centinaia di altre persone in Italia.

1 milione per un laboratorio di San Diego che sta sviluppando un farmaco sperimentale che potrebbe essere poi prodotto anche in Italia.

“Forse non ci sarò io a beneficiare di questi studi, ma altri sì. È questo che conta”.

Il sostegno del mondo del calcio e non solo
La campagna di raccolta fondi ha già raccolto oltre 200.000 euro. Accanto a Matteo si sono schierati nomi importanti del calcio italiano:

Antonio Conte e la moglie Elisabetta

Simone Inzaghi e la moglie Gaia

Anche Zlatan Ibrahimović, che ha conosciuto Matteo attraverso il fratello Marco, ha voluto fargli sentire la sua vicinanza con un messaggio semplice ma potente.

“Anche chi ha donato solo cinque euro ha fatto un gesto enorme. Ognuno, nel suo piccolo, può fare la differenza”.

Il messaggio più toccante? Quello di Giuseppe Pancaro, ex difensore della Lazio, con cui in passato ci furono dei dissapori. “È andato oltre. E lo hanno fatto in tanti. Questo mi ha colpito”.

Il rapporto ritrovato con il fratello Marco
Anche con il fratello Marco, campione del mondo nel 2006, i rapporti non sono sempre stati semplici.

“Abbiamo litigato per sciocchezze. Ma ora stiamo cercando di recuperare il tempo perso. Marco vuole organizzare una partita benefica all’Olimpico: gli Azzurri del 2006 contro una All Star di grandi stranieri del passato. Sarebbe un evento straordinario, non solo simbolico”.

“Di notte sogno di correre”
Nel finale dell’intervista, Matteo lascia una delle immagini più intense e dolorose:

“Mi è vietato avere speranza, ma provo a vivere al massimo finché posso. E la notte, nei sogni, corro”.

Parole che racchiudono tutta la sua dignità, il coraggio di esporsi, e la volontà di lasciare qualcosa di utile a chi verrà dopo.

Come contribuire
La raccolta fondi per finanziare la ricerca è attiva. Ogni contributo – piccolo o grande – può aiutare ad accelerare il percorso verso una cura. Perché, come ricorda lo stesso Materazzi, “forse non basterà il mio tempo, ma quello degli altri sì. E allora ne sarà valsa la pena”.