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Luciano Spalletti, l’uomo che si è spogliato di tutto: il samurai che non conosce la gioia

Spalletti

Il ritratto del tecnico toscano secondo Giancarlo Dotto: un guerriero solitario, incapace di godere della vittoria ma pronto a cercare senso nel dolore. “La sua espiazione deve essere totale”.

Luciano Spalletti, l’uomo che si è spogliato di tutto: il samurai che non conosce la gioia

Non un semplice allenatore, ma un uomo in lotta perpetua. Con se stesso, con la sua idea di calcio, con il mondo che non sempre lo comprende.
La sua testa “è già di suo un elmo”, scrive Dotto nel suo ritratto pubblicato sul Corriere dello Sport.
E ogni volta che affronta una sfida, lo fa come fosse una battaglia da cui tornare con l’anima ferita, ma mai arresa.

Spalletti non conosce la leggerezza della gioia. Quando vince, non sa godere. Quando perde, invece, si consegna al dolore con una dedizione quasi mistica.
Non si limita a leccarsi le ferite: le riapre, le scava, ne cerca di nuove.
È il suo modo di espiare, di restare vivo, di sentire il peso della responsabilità che porta addosso come una seconda pelle.

Un guerriero anche nella vita quotidiana

Anche lontano dal campo, Spalletti mantiene quella tensione da combattente.
“Va in guerra pure quando entra in un bar di Montaione e pretende di pagare a tutto il mondo”, scrive Dotto, descrivendo l’allenatore come un uomo che non conosce mezze misure: o ti abbraccia o ti mette al muro, letteralmente.

Nella sua tenuta in campagna, vicino Firenze, trova rifugio solo tra i suoi animali, in quel microcosmo dove può “accettarsi, se non amarsi”.
È lì che vive i giorni dell’espiazione, quando la sconfitta lo divora e il silenzio diventa l’unico compagno possibile.

La ferita più profonda

Dotto racconta che la vera ferita di Spalletti non è stata la sconfitta, né l’esonero, né le critiche.
È stato l’atto di fiducia ingenua verso un gruppo che nel frattempo era cambiato: ragazzi cresciuti, diventati “scaltri, ricchi e viziatelli”, non più disposti a farsi trascinare nell’incanto del suo carisma.

“Spalletti ci ha creduto davvero. Ha sguainato e sguaiato la sua iperbole”, scrive Dotto. Ma quando si è voltato indietro, non ha trovato un esercito di fedeli. Solo Marco Domenichini, il suo storico vice, “il suo Sancho Panza di sempre”.
Un’immagine potente e malinconica: il condottiero che scopre di essere rimasto solo nel campo di battaglia.

“Si è mostrato nudo, ed era solo grottesco”

L’autore descrive così il momento più umano e disarmante del tecnico:
“Si è mostrato nudo e alla fine era solo grottesco.”
Un’immagine simbolica: Spalletti si è esposto completamente, ha creduto nella purezza del suo ruolo, ma il mondo del calcio – spietato e mediatico – lo ha restituito alla realtà, dove i sentimenti valgono meno dei risultati.

Eppure, anche nella sua vulnerabilità, resta un uomo coerente. La sua espiazione deve essere totale, scrive Dotto, perché solo attraverso la sofferenza Spalletti può continuare a essere se stesso.
“Guai a chi prova a distrarlo con sorrisi o inviti alla spensieratezza: te lo fai nemico. E lui ci mette poco, a farti nemico.”

Kenan Yildiz come il nuovo Totti

In chiusura, Dotto suggerisce un parallelo affascinante: nella sua nuova avventura, Kenan Yildiz potrebbe diventare per Spalletti ciò che Francesco Totti fu ai tempi della Roma.
“Sarà il suo Totti di oggi e di domani, nella migliore delle versioni possibili.”
Una promessa e una sfida insieme: l’idea che Spalletti, anche dopo tanto dolore, sappia ancora cercare un nuovo simbolo in cui credere.

Un uomo che vive di estremi

Luciano Spalletti resta un enigma del calcio italiano: un filosofo guerriero, un perfezionista inquieto, un samurai che lotta non per vincere, ma per sentirsi vivo.
Non conosce la gioia superficiale del successo, ma la tensione profonda di chi cerca senso in ogni battaglia.
E forse è proprio questo che lo rende unico: un uomo che si spoglia di tutto, anche della felicità, pur di restare autentico.