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Paolo Cannavaro si racconta senza filtri: “I paragoni con Fabio mi pesavano. Napoli è casa mia, anche quando mi fischiò”

Paolo Cannavaro

Dall’ombra del fratello alla fascia da capitano, dalle lacrime per la promozione alle accuse poi cancellate: il viaggio umano e sportivo di Paolo Cannavaro

Paolo Cannavaro si racconta senza filtri: “I paragoni con Fabio mi pesavano. Napoli è casa mia, anche quando mi fischiò”

Il valore di un calciatore si misura con le prestazioni, quello di un uomo con la coerenza delle sue scelte. Paolo Cannavaro, ex capitano del Napoli, incarna entrambe le dimensioni. La sua è una storia profondamente legata alla città, vissuta tra orgoglio, sacrifici e ferite mai del tutto rimarginate. Un racconto sincero, fatto di amore viscerale per Napoli e di momenti duri affrontati senza mai rinnegare se stesso.

Crescere all’ombra di Fabio: un peso da imparare a gestire

Essere il fratello minore di Fabio Cannavaro non è stato semplice. “È stato un macigno”, ammette Paolo. Stesso ruolo, stessi paragoni, un’etichetta difficile da scrollarsi di dosso: “Per molti ero ‘l’altro Cannavaro’. Me ne sono sempre fregato, ma ho dovuto imparare a conviverci”.

La strada non è stata lineare nemmeno nelle giovanili. “Nel Napoli, fino agli Allievi, non giocavo mai. Però non ho mai avuto un piano B. Volevo arrivare e basta”. La determinazione, alla fine, ha fatto la differenza.

Parma, Fabio e la scuola dei campioni

Nel 1999 il trasferimento al Parma segna una svolta. Paolo ritrova Fabio e per alcune partite i due fratelli giocano insieme. “Un’emozione enorme. Vivevo a casa sua e in quell’anno e mezzo ho imparato tantissimo”. L’impatto con i grandi campioni è formativo: “Thuram, campione del mondo, che dopo l’allenamento restava da solo a migliorarsi. Lì capisci cosa separa i fuoriclasse dai giocatori normali”.

Il sogno spezzato di giocare insieme a Napoli

Anni dopo, la possibilità di vestire insieme l’azzurro nella loro città. Un sogno che però non si realizza. “Ce lo hanno tolto. Siamo cresciuti vicino allo stadio, a pane e curva. Fabio sarebbe venuto anche gratis. Da napoletani, sarebbe stato qualcosa di unico”.

Il ritorno in B e le lacrime della promozione

Nel 2006 Paolo sceglie il cuore, non la categoria. “Avevo offerte importanti, ma dissi al mio procuratore di non ascoltare nessuno. Volevo solo il Napoli”. La promozione in Serie A arriva subito. “Dopo il pareggio col Genoa piansi come un bambino. Stavamo riportando il Napoli dove meritava”.

I fischi, l’esplosione e una ferita ancora aperta

Otto anni in azzurro non sono stati solo felicità. Napoli-Torino del 2009 resta una cicatrice. “Mi fischiarono per tutta la partita. Mi fece male perché stavano attaccando uno di loro, un figlio della città”. La reazione a fine gara fu istintiva. “Lanciai il pallone in tribuna. Non mi pento: non lo trovavo giusto”.

Capitano, trofeo e identità

Le gioie, però, superano di gran lunga i dolori. “Ho alzato un trofeo da capitano, a Napoli, con la sciarpa della curva al collo. Volevo dire a tutti che io ero uno di loro”. Un momento simbolo: “Abbiamo riportato un trofeo dopo 25 anni. Per un bambino che prendeva le secchiate d’acqua sugli spalti, è il massimo”.

Mazzarri, l’uomo vero

Gli anni migliori coincidono con l’era Mazzarri. “Mi sono trovato benissimo. Era diretto, vero, un martello. Bastava una partita sbagliata e ti chiamava in ufficio”. Un rapporto umano prima ancora che tecnico.

Le scommesse e l’ingiustizia subita

Il capitolo più amaro arriva con l’accusa di omessa denuncia nel processo sul calcio scommesse. “Una storiaccia. Non ho fatto nulla, mi hanno messo in mezzo”. La proposta di patteggiamento viene rifiutata: “Mi dissero ‘se patteggi sono tre mesi’. Ho detto no, anche a costo di restare fermo”. L’assoluzione arriva dopo un mese. “Prima partita, gol. Lo striscione per me e Grava fu una delle emozioni più forti della mia carriera”.

L’addio con Benitez e la seconda vita a Sassuolo

Nel 2014 arriva l’addio. “Benitez fece le sue scelte. Mi dispiace solo non aver avuto una chance per fargli cambiare idea. Glielo dissi anche in faccia”. La chiusura della carriera a Sassuolo è però serena: “Un’altra famiglia. Siamo passati dall’ultimo posto all’Europa League”.

La lettera ai tifosi: l’essenza di Paolo Cannavaro

Alla fine resta una lettera, scritta ai tifosi dopo l’addio. “Sono partito dagli spalti, ho fatto il raccattapalle, il giocatore, il capitano. Sempre da napoletano, cercando di rappresentare la mia gente”. In quelle parole e in quelle lacrime c’è tutto Paolo Cannavaro. “Spero che il messaggio sia arrivato”.