Alejandro “Papu” Gomez è tornato titolare dopo 923 giorni. Un numero che pesa, che segna uno spartiacque netto tra un prima e un dopo. Oggi il centrocampista del Padova parla con lucidità, serenità e una maturità diversa, quella di chi ha attraversato il momento più difficile della carriera ed è riuscito a rimettersi in piedi.
Padova, Papu Gomez: “Dopo la squalifica molti sono spariti. Ho chiesto aiuto per rialzarmi”
Dopo due anni di squalifica per doping, il Papu è tornato in campo, ma soprattutto ha ritrovato se stesso.
“È un numero al quale faccio ancora fatica a credere. Sono contento, fisicamente mi sono sentito bene. Ora posso dire che il mio percorso è davvero iniziato”, racconta, con la consapevolezza di chi non vuole più dare nulla per scontato.
Il ritorno in campo e una nuova mentalità
Il rientro dal primo minuto rappresenta molto più di una semplice presenza: è la fine di una lunga attesa e l’inizio di una fase nuova. “All’esordio contro il Venezia non mi sono goduto la partita. Tornavo da un infortunio e avevo paura di rifarmi male. Avevo il timore che la gente pensasse che non fossi più in grado di giocare”.
Oggi quell’ansia è alle spalle. Gomez si sente bene e guarda avanti, con un obiettivo chiaro: continuità. “I numeri non mi interessano. Voglio giocare tutte le partite, perché significa stare bene fisicamente. È questo che conta davvero per me adesso”.
Padova, non solo salvezza: “Possiamo puntare più in alto”
Il progetto Padova lo ha convinto fin dal primo giorno. L’obiettivo dichiarato è la permanenza in Serie B, ma il Papu non si nasconde: “Non mi accontento della salvezza. Voglio aiutare questa squadra a crescere e portarla più in alto possibile”.
Un’ambizione che nasce dalla fiducia nel gruppo: “La Serie B è un campionato equilibrato, imprevedibile. Tutti mi dicevano che è il torneo del ‘non si sa mai’. Abbiamo le carte per fare una stagione tranquilla, ma se possiamo sognare qualcosa in più, tanto meglio”.
Andreoletti e il mix tra esperienza e gioventù
Nel Padova di oggi convivono esperienza e freschezza, anche in panchina. “È un bel mix. Il club ha inserito giocatori esperti e ha un allenatore giovane ma molto preparato. Andreoletti è intelligente, lavora bene, prepara le partite con grande attenzione. Stiamo crescendo insieme”.
Il passato a Bergamo riaffiora inevitabilmente: “Con lui parliamo spesso di Gasperini e dell’Atalanta. In dieci anni ha fatto scuola. Oggi tante squadre giocano così. È diventata una tendenza”.
La città e l’accoglienza: “Padova mi ha sorpreso”
Anche fuori dal campo, Gomez ha trovato un ambiente ideale. “La gente mi ha accolto benissimo, sento entusiasmo. Padova mi ha sorpreso: è viva, aperta, si vive bene. Venendo da Bergamo, ho potuto organizzare tutto con calma. È stato più semplice rispetto ad altri cambi di carriera”.
Dai social al silenzio: “Ero virale, poi il telefono ha smesso di squillare”
Il passaggio più delicato riguarda il periodo successivo alla squalifica. Gomez non gira intorno al tema: “Qualcuno è sparito. Altri, che non me l’aspettavo, mi sono stati vicinissimi. Le difficoltà servono anche a capire chi ti vuole davvero bene”.
Il contrasto con il passato è netto: “Per un video ero diventato virale, tra balli e canzoni. Poi il telefono ha smesso di squillare. I tifosi, però, mi hanno dimostrato un affetto incredibile, sui social e per strada. Ma oggi sono meno presente online: questo mondo un po’ finto mi ha stancato”.
Il rifiuto della Kings League e la scelta del sacrificio
In un’epoca in cui il calcio passa sempre più dai social, il Papu ha fatto una scelta controcorrente. “Dalla Kings League mi hanno chiamato, mi avrebbero pagato molto bene. Ma non faceva per me. Stavo facendo sacrifici enormi per tornare nel calcio vero. Non potevo permettermi scorciatoie”.
Una decisione di rispetto verso se stesso e la propria carriera: “Non potevo andare lì e poi sperare in una chiamata dalla Serie A o dalla B”.
“Ho chiesto aiuto”: la svolta mentale
Il passaggio più intimo arriva quando parla del lato psicologico. “Dopo la squalifica ho chiesto aiuto. Ero entrato in un loop dal quale non riuscivo a uscire”.
Fondamentale il supporto della famiglia: “Mia moglie mi ha aiutato tantissimo, soprattutto a capire il percorso da fare. Non potevo allenarmi con la squadra, non potevo entrare in un centro sportivo, non potevo studiare da allenatore o dirigente”.
In quel periodo, Gomez ha dovuto reinventarsi: “Ero tutto per me stesso: preparatore fisico, allenatore, mental coach. Ho dovuto trovare la forza dentro di me per andare avanti”.
Il futuro? “Ora voglio riprendermi il tempo perso”
Pensare al dopo-calcio, per ora, non è una priorità. “Sono un’anima libera, faccio fatica con la routine. Ora voglio solo godermi di nuovo il calcio e recuperare il tempo che ho perso”.
Lo sguardo è ancora avanti: “Se tutto va bene, vorrei giocare ancora tre o quattro anni”. Non per nostalgia, ma per fame. La stessa fame di chi è caduto, ha chiesto aiuto e ha scelto di tornare davvero.



