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Napoli, il CDS celebra Vanja Milinković-Savić, il guardiano d’acciaio: la barba nera come talismano

Monumentale, imperturbabile e mistico: il portiere serbo incarna l’idea di forza tranquilla tra i pali azzurri, secondo il decano dei giornalisti, Mimmo Carratelli.

Napoli, il CDS celebra Vanja Milinković-Savić, il guardiano d’acciaio: la barba nera come talismano

C’è un’immagine che resta impressa osservando Vanja Milinković-Savić tra i pali del Napoli: quella di un portiere imponente, quasi scultoreo, che domina l’area come una figura mitica, scrive Carratelli su Il Corriere dello sport.

Con le braccia spalancate sembra un uomo vitruviano moderno, un Atlante che sostiene il mondo, un Cristo del Corcovado in versione calcistica.
In lui convivono simboli di forza e calma, rigore e spiritualità.

Origini e destino di un gigante

Nato a Ourense, in Galizia, da padre serbo e madre bosniaca, Vanja è fratello minore di Sergej Milinković-Savić, centrocampista affermato.
Con i suoi due metri e due centimetri di altezza, rappresenta la torre della sua famiglia, un campanile umano che veglia sulla porta del Napoli.
In campo, Vanja non è spettacolare, ma austero e preciso.
Non vola per stupire, ma per bloccare. Non esulta con gesti plateali, ma custodisce la gioia dentro di sé: è un operaio delle parate, un professionista del silenzio.

La barba nera, simbolo e scudo

La barba nera è il suo segno distintivo, il suo talismano.
Non è solo un dettaglio estetico: è un marchio di identità, quasi un rituale.
“È un profeta, un monaco, un guerriero”, scrive Carratelli.
E in effetti quella barba, scura come la notte dei Balcani, è diventata parte integrante del suo carisma.
Davanti al dischetto, i rigoristi non vedono una porta, ma una figura che li ipnotizza: una presenza antica e misteriosa, come Rasputin davanti allo zar.

L’incubo dei rigoristi: la freddezza del predestinato

Negli ultimi mesi Milinković-Savić è diventato il peggior incubo dei tiratori dal dischetto.
Ha parato rigori a Camarda, Morata, Pulisic, Retegui, Pasalic, Insigne e Džeko, mostrando una calma glaciale e una capacità di lettura rara.
La sua forza è nella semplicità del gesto, nella sicurezza dei movimenti e nella capacità di mantenere la concentrazione assoluta.
Per lui ogni parata è un atto naturale, non un miracolo: un modo per riaffermare la propria presenza, come se ogni tiro fosse un rito già scritto.

Nella tradizione dei grandi portieri

Carratelli lo paragona ai grandi del passato: Taglialatela, il “Batman di Ischia” che fermava i rigori dei campioni, o Dino Zoff, la leggenda friulana fatta di rigore e silenzio.
Di Zoff, Vanja ha la freddezza e il senso della posizione.
Ma c’è in lui qualcosa di diverso, di ultraterreno: una calma cosmica che sembra venire da un altro pianeta.
Se Zoff era la perfezione terrena, Milinković-Savić è la maestosità celeste.

La barba come destino

In un calcio sempre più spettacolare, Vanja rappresenta la dignità del mestiere antico del portiere.
Non si mette in scena, non cerca l’applauso.
Difende il suo spazio con la disciplina di un monaco e la determinazione di un soldato.
E in quella barba, nera e fitta, sembra custodire tutta la sua forza, la sua fede e il suo mistero.

È la barba del portiere e del profeta, il simbolo di un uomo che difende non solo una porta, ma un’idea: quella del calcio come arte silenziosa e implacabile.