Due allenatori legati da stile e misura, capaci di rappresentare un’idea di calcio lontana dal clamore
Donadoni riparte, Pioli si ferma: due destini paralleli del calcio che non urla
Roberto Donadoni che torna, Stefano Pioli che si ferma. Due traiettorie che si incrociano come specchi di un calcio ormai raro, fatto di misura, competenza e silenzio. Entrambi appartengono a una generazione di tecnici nati a cavallo degli anni Sessanta, cresciuti in un’epoca in cui la panchina era ancora una scuola di artigianato e non uno show televisivo, riporta la Gazzetta dello sport.
Il calcio educato
Donadoni e Pioli hanno rappresentato, in modi diversi, una stessa filosofia: quella della sobrietà. Mai urlatori, mai protagonisti, hanno scelto di farsi rispettare per il lavoro più che per l’esposizione. Due ex calciatori intelligenti e tecnici – Donadoni, figlio della scuola di Sacchi; Pioli, difensore dal pensiero moderno – accomunati da un tratto di compostezza che oggi appare quasi anacronistico.
In un calcio sempre più rumoroso, chi è misurato viene spesso scambiato per debole. Ma è proprio la loro discrezione ad averli resi riconoscibili.
Donadoni, con il suo tono basso, ricorda che “allenare non significa motivare davanti alle telecamere”.
Pioli, con il suo silenzio dopo l’esonero, dimostra che si può cadere senza trasformare la sconfitta in un processo pubblico.
Donadoni, il ritorno alla panchina
Dopo cinque anni lontano dai campi, e un’avventura in Cina finita nel silenzio, Roberto Donadoni è tornato. Lo ha fatto scegliendo La Spezia, in Serie B, una piazza complessa e passionale. Non per nostalgia, ma per necessità: perché il campo, per chi lo ama davvero, manca più della ribalta.
Sessant’anni e la compostezza di sempre: Donadoni ha riposto la sacca da golf e ha deciso di ripartire “dalla porta laterale”, con la serenità di chi sa che la carriera di un allenatore è fatta di cicli, cadute e ripartenze.
Non è un ritorno mediatico, ma calcistico: perché anche un 1-1 nei bassifondi della B può restituire il sorriso a chi vive di calcio.
Pioli, l’amarezza del ritorno
Per Stefano Pioli, invece, il ritorno a Firenze si è trasformato in una delusione. Tornare dove si è stati bene, si sa, è un rischio. Dopo settimane di tensioni e risultati deludenti, l’esonero è arrivato come una liberazione per l’ambiente ma una ferita per l’uomo.
Solo pochi anni fa, il tecnico parmense era l’immagine del trionfo tranquillo: lo Scudetto con il Milan come premio alla coerenza e alla capacità di costruire gruppo. Poi l’esperienza in Arabia, ben pagata ma poco formativa, e ora la difficoltà di reinserirsi nel calcio che conta.
Un mestiere che non perdona
Non è un caso isolato. Anche Fabio Cannavaro, vincente in Oriente, in Italia ha trovato solo panchine provvisorie. Roberto Mancini, dopo il passo falso da ct in Arabia, è ancora fermo a studiare partite dagli spalti.
Per gli allenatori, più che per i giocatori, rientrare nell’élite è diventato un percorso a ostacoli.
Due uomini controcorrente
Donadoni e Pioli sono due volti di un calcio che resiste, quello che non urla, non accusa e non cerca nemici. Due professionisti che continuano a credere che la forza stia nella misura, anche quando il mondo intorno pretende il clamore.
Dopo un periodo “alla Pioli”, c’è sempre un periodo “alla Donadoni”: il tempo di rimettersi in piedi e tornare semplicemente ad allenare.


