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Caldara, la lettera d’addio al calcio: “Il mio corpo mi ha tradito. È ora di salutarti”

A 31 anni, dopo una carriera segnata da entusiasmo, talento, aspettative enormi e una sequenza infinita di infortuni, Mattia Caldara ha detto basta. L’ex difensore di Atalanta e Milan ha annunciato il ritiro tramite una lunga e toccante lettera pubblicata sul sito di Gianluca Di Marzio.

 

Caldara, la lettera d’addio al calcio: “Il mio corpo mi ha tradito. È ora di salutarti”

Una confessione sincera, cruda, che ripercorre anni di dolore fisico, smarrimento psicologico e tentativi di rinascita che non sono mai riusciti a restituirgli ciò che era stato.

«Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere. No, non è stato facile deciderlo. Non lo è neanche scrivere queste parole».

«Il mio corpo mi aveva tradito»

La decisione definitiva è arrivata in estate, dopo una visita che ha lasciato pochissimo spazio a interpretazioni:

«Mattia, non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui, tra qualche anno dovremo metterti una protesi».

Una sentenza. E la consapevolezza che continuare avrebbe significato non solo inseguire un sogno sempre più lontano, ma mettere a rischio la propria vita futura.

«Il mio corpo mi aveva tradito. Questa volta in modo definitivo».

Il giorno in cui tutto è cambiato

La lettera scava indietro nel tempo, arrivando fino al momento che – racconta – ha segnato una frattura irreparabile. Non quella del tendine, ma quella successiva: il ginocchio.

Caldara ricorda quell’istante come la fine del calciatore che era stato.

«Un suono, un secondo, un istante. La mia anima era devastata. ‘Non tornerò più quello di prima’. Una pagina della mia vita si era chiusa per sempre».

Quel giorno, spiega, è iniziato il buio.

«Ero nel punto più alto. Poi sono crollato, prima fisicamente e poi mentalmente»

Caldara ripercorre senza filtri gli anni successivi: i continui infortuni, la fatica nel tornare, ma soprattutto il peso mentale. Parole dolorose, che intercettano un tema sempre più centrale nel mondo dello sport:

«Non so se si chiami depressione. So però cos’ho provato. Tristezza, frustrazione, buio. Non ero più me stesso. Non riuscivo più a camminare per strada a testa alta».

Il malessere, racconta, ha finito per colpire anche chi gli stava accanto.

«Ero rinchiuso in una bolla. Mia moglie e i miei genitori avevano paura di chiedermi come stessi. Ho fatto male alle persone che amavo. Non me ne rendevo conto».

Le occasioni mancate e il rimpianto Juventus

Nella lettera c’è spazio anche per l’autocritica, soprattutto per una scelta che Caldara definisce il più grande rimpianto della sua carriera: aver lasciato la Juventus troppo presto.

«Guardando indietro sarebbe stato meglio rimanere lì. Mi è mancata forza mentale. Crescere con Chiellini, Bonucci e Barzagli mi avrebbe fatto bene. È l’unica cosa che, potendo, cambierei».

La fine del sogno e la rinascita personale

La visita decisiva del luglio 2025, le infiltrazioni tentate inutilmente, il dolore ancora presente nonostante gli allenamenti ridotti. E poi la lucidità, arrivata quasi all’improvviso:

«‘Che senso ha tutto questo?’. Era il momento di dire basta. Basta alla sofferenza e al vuoto che da anni mi accompagnavano».

Oggi – scrive – ha ricominciato a vivere.

«Mi sento più leggero. Mi sento libero di essere me stesso, finalmente».

«Grazie calcio. Anche il dolore serve»

La lettera si chiude come un nuovo inizio. Senza amarezza, ma con un senso di liberazione.

«Al calcio non posso che dire grazie. È vero, mi ha fatto stare male. Ma anche il dolore serve».

E poi l’ultima immagine, simbolica:

«Ripongo questa penna sul tavolo. Mi posso alzare da questa sedia e iniziare a camminare. Si abbassa il sipario. In campo ora c’è Mattia».