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CorSport – Napoli, Conte contro Mourinho: si sente già il rumore dei nemici

MILAN, ITALY - SEPTEMBER 28: Antonio Conte in action during the Serie A match between AC Milan and SSC Napoli at Giuseppe Meazza Stadium on September 28, 2025 in Milan, Italy. (Photo by SSC NAPOLI via Getty Images)

CorSport – Napoli, Conte contro Mourinho: si sente già il rumore dei nemici

Rieccoci al cospetto del triplete e del machete che affetta avversari e polemiche, ecco il figlio di buona Setubal, cittadina portoghese di avventurosi pescatori sull’Atlantico, José Mourinho, e chi se no, in questa trasferta napoletana all’Estàdio da Luz, e la luce fu. Uomo di viso corrucciato, di manette ammanettato, predicatore del successo ad ogni costo venne 17 anni fa in Italia contro il birignao degli allenatori concavi e convessi, dei circonflessi e circonfusi, i romaniprodi del fallo tattico, i rutelli del contropiede, i casini del possesso palla, i massimidalema del dai e vai, i dipietri del rigore, un bel teatrino del pallone e Mou prim’attore in un teatro nuovo e smargiasso. Foto di quel tempo molto interista. Cappotto “greige” Armani, abiti casual di Hugo Boss, camice bianche, camice celesti, cravatte scure, cintura di Gucci, scarpe Car Shoes, borsa Luis Vuitton a tracolla, la fascetta d’argento al dito. Finto trasandato molto elegante con sorriso aperto o sdrucciolo, tagliente, ironico. Nemici serpenti, Mourinho incantatore di serpenti conoscendo sei lingue, e di lingua biforcuta quand’era il caso.

Non amico del giaguaro, ma giaguaro José Mourinho di Setubal. E soprattutto Nemico, il grande Nemico. “Una delle cose che mi piacciono dell’Italia è il rumore dei nemici. Ho detto la mia opinione come uomo libero in società libera e subito è arrivato il rumore dei nemici. Fantastico!”. Molti nemici, molto onore? Non portò bene al Puzzone, ma è storia passata, di quando si giocava col “metodo” e le ali facevano le ali. Presentazione sincera. “Scusate se sembro arrogante, sono solo un tipo speciale”. Uomo speciale che piaceva alla signora Alba Parietti e a molte signore e signorine nell’Italia tutta risi e Bisio, tronisti e vallette, politici porta a porta, ministri con la scorta, facce di bronzo ritoccate dal chirurgo estetico. Mourinho in Italia. La pioggia non lo bagnava, il sole lo baciava, la neve lo accarezzava. Sulla sua panchina riviveva la commedia dell’arte nei gesti originali, nei taccuini tattici, seduto, balzando in piedi, invocando, comandando, disponendo e indisponendo, protagonista assoluto, una manna per le telecamere, una gioia per i nostri occhi stanchi di guardare i pippibaudi e i maurizicostanzi, la parrucca immanente del Cavaliere, le facce dei soliti noti. Pensammo a un altro attore di tempi più antichi, Helenio Herrera che tappezzava i muri dello spogliatoio con massime ed editti. Helenio Herrera Gavilàn era uno zingaro romantico, argentino di Buenos Aires con infanzia in Marocco e trionfi calcistici spagnoli prima di arrivare alla corte di Moratti padre, Angelo Moratti di Somma Lombardo, figlio di farmacista, che inventò il Texas in Italia, raffinerie di petrolio dalla Sicilia alla Sardegna. Palla lunga e pedalare, il catenaccio, il contropiede e, se avevi uno che lanciava come Luisito Suarez, uno che correva come Jair, uno che faceva le foglie morte come Mariolino Corso e uno che dribblava anche gli alberi di San Siro come Sandrocchio Mazzola, non dovevi fare altri miracoli. Helenio era affascinante, ma non bello. Bello per Fiora Gandolfi di Treviso, lei sì bella e fatale, lunghi capelli soffici, che lo sposò. Non bello con quella fronte di cartapesta sfregiata da rughe profonde, ma gli occhi, oh gli occhi erano di volpe multietnica, taca la bala, gioca velocemente, pensa velocemente, marca velocemente. Ci stavamo addormentando col gatto se non l’hai nel sacco, con l’intensità, l’ocio, la pazienza, la memoria e il bus de cul, con i probiviri della panchina, Ranieri somigliava sempre più a Giulio Cesare, Zaccheroni sembrava frate Zac, Guidolin un prete spretato, Delneri parlava con un accelerato accento friulano criptato, Cesarino Prandelli evitava ogni arguzia e Allegri allenava il Cagliari, Spalletti la Roma, Ancelotti il Milan, Gasperini il Genoa. Arrivò Mourinho e suonarono le trombe del giudizio universale.

Due anni furiosi all’Inter inchiodando i suoi colleghi agli zeri tituli e marchiandoci di prostituzione intellettuale mentre gli facevamo domande capricciose. Dieci anni dopo alla Roma. Oggi più di mille panchine, 745 vittorie e 26 trofei allenando dieci squadre in 38 anni. Un uomo dal braccio d’oro: esonerato sette volte intascando 110 milioni. Vince anche quando perde. Da otto giornate guida il Benfica (5 vittorie, 3 pareggi) risvegliando gli entusiasmi dell’altra metà di Lisbona, terzo in classifica, solo trentesimo in Champions con 3 punti, dietro al Napoli ventesimo con 7 punti. Dicono che, svoltati i sessant’anni, abbia il viso più pieno e meno guerriero. Ed ecco la sfida. Conte e Mourinho, Antonio più alto di José di quattro centimetri, tecnici scintillanti, molte scintille tra i due, rivali in Inghilterra tra Chelsea e Manchester United, rivali in Italia tra Inter e Roma, insulti e risse, incompatibili e insopportabili. Si rivedranno all’Estàdio da Luz. Si sente già il rumore dei nemici.

Carlo Gioia