È un Rasmus Højlund a cuore aperto quello che si racconta in una lunga intervista ai microfoni di Sports Illustrated, tracciando un bilancio dei suoi primi mesi all’ombra del Vesuvio. Ventidue anni all’anagrafe, ma con un bagaglio di esperienze che lo fa sentire già un veterano, l’attaccante danese analizza con lucidità il suo presente in azzurro, senza nascondere i retroscena del suo arrivo e le ambizioni che lo guidano. “Sono felice qui, mi sto divertendo davvero”, esordisce il numero 19, sottolineando come l’Italia sia diventata, insieme alla Danimarca, l’unico posto che oggi chiama “casa”.
Højlund a nudo: “Allo United non servivo più, Conte mi ha convinto in un attimo. Lukaku? Un idolo, ma voglio il mio posto”
Il passaggio dal Manchester United al Napoli nasce da una presa di coscienza brutale ma necessaria. Højlund non usa mezzi termini per descrivere l’addio ai Red Devils: “Lo United è stato molto chiaro: non rientravo nei piani per questa stagione. Senza le coppe europee e in quel contesto, il Napoli ha visto un’opportunità”. A quel punto, la volontà del giocatore è stata determinante: “Appena ho saputo del loro interesse, ho detto al mio entourage che volevo andare solo lì”. A sigillare il trasferimento è stata la presenza di Antonio Conte. La telefonata tra i due è stata breve ma decisiva: “Quando ti chiama un allenatore incredibile come lui, devi solo dire di sì. Sapevo che sarebbe stato il passo giusto per me, lui è un maestro nel far crescere gli attaccanti”.
Ma il tema più stuzzicante per i tifosi e gli addetti ai lavori è la convivenza con Romelu Lukaku. Qui emerge il mix di umiltà e ambizione che caratterizza il danese. “Ho una maglia di Romelu a casa, l’ho sempre ammirato, è un po’ un idolo per me”, svela a sorpresa Højlund, raccontando di voler imparare tutto dal belga. Tuttavia, il rispetto non scalfisce la fame agonistica: “Ovviamente voglio giocare. Non voglio essere un portiere da due gol (metafora per dire una riserva, ndr). C’è competizione, ma sento di poter imparare molto da lui”.
Nonostante la giovane età, Højlund parla con la maturità di chi ha già vissuto diverse vite calcistiche. L’esperienza a Manchester, definita fondamentale per la sua crescita, è metaforicamente descritta come qualcosa da mettere nel proprio “zaino”. “Ho giocato in Champions, agli Europei, in Premier League e in Serie A. Mi sento un giocatore esperto, anche se anagraficamente non lo sono. Rispetto a quando avevo 20 anni sono più calmo, non traggo conclusioni affrettate. La pressione di uno dei club più grandi al mondo ti insegna a crescere”.
I modelli di riferimento restano altissimi, con Cristiano Ronaldo in cima alla lista. Non tanto per le caratteristiche tecniche, quanto per l’attitudine mentale: “Ammiro la sua fame. Lui pensa di essere il migliore anche quando gli altri non lo credono, e non gli importa nulla del giudizio altrui. Vuole solo migliorare. È quello che cerco di fare io: alzare l’asticella, puntare all’impossibile per non adagiarmi”. Tra l’apprendimento della lingua italiana (“Capisco quasi tutto ormai”) e la voglia di trascinare la Danimarca ai Mondiali, Højlund ha trovato a Napoli la sua dimensione ideale, mantenendo quella personalità un po’ “sfacciata” che lo rende unico: “Sono ancora un ragazzo che a volte fa il bambino, ma in campo cerco di prendermi le mie responsabilità”.
Andrea Alati



