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C’eravamo tanto amati. Ventura il primo, Sarri l’ultimo: Ancelotti il quinto esonerato da ADL

Ancelotti

Il primo a farne le spese fu l’ex c.t. della Nazionale, poi Reja, la parentesi Donadoni e Sarri. Re Carlo detronizzato dopo un campionato buttato via e una programmazione poco chiara con la società.

C’eravamo tanto amati. Ventura il primo, Sarri l’ultimo: Ancelotti il quinto esonerato

In quindici anni di Napoli i tecnici azzurri non sono stati tanti. Il patron Aurelio De Laurentiis avrà mille pregi e difetti, ma tra questi non vi è di certo una costanza ad esonerare allenatori. Difatti, il presidente ha avuto a libro paga otto allenatori. Il primo esonero dell’era De Laurentiis è Giampiero Ventura, che in accordo con la società si fece “da parte per il bene della squadra”. Dopo di lui, arrivarono gli anni della risalita in serie A con Edoardo Reja esonerato nel marzo 2009 dopo una decisione presa “con grande sofferenza, in considerazione del fondamentale ruolo svolto da Reja durante i campionati che hanno proiettato il Napoli dalla serie C alla coppa Uefa” (nota ufficiale di allora). Il nuovo allenatore, tal Roberto Donadoni, uno “sfizio” che il patron aveva da tempo dopo la felice esperienza in Nazionale, firmò un contratto triennale. Un triennio che si interruppe in maniera repentina attraverso un comunicato ufficiale dopo appena sei mesi di gestione con “una decisione indispensabile per dare nuovo impulso alla stagione azzurra e in chiave futura per il prossimo quinquennio”.

Detto, fatto. Il (fantastico) ciclo Mazzarri ha portato, per risultati in campo e numeri relativi a costi e ricavi, inevitabilmente a una crescita esponenziale del fatturato e del carisma internazionale. Certificato, all’addio del tecnico di San Vincenzo, dall’avvento del manager ex Liverpool Rafa Benitez, in un biennio in cui l’appeal del club (grazie anche all’arrivo di gente come Reina, Higuain, Mertens, Callejon, Koulibaly, Albiol, tra gli altri) è aumentato anche con il valore del parco calciatori, segno che la strategia quinquennale ha fruttato risultati contabili cresciuti “sin prisa y sin pausa”.

La scelta di puntare su Maurizio Sarri fu facilitata da un ridimensionamento delle ambizioni dopo la seconda deludente stagione Benitez che intanto ha accettato un ricco incarico a Madrid, sponda merengues; nessuno, neppure il più ottimista, pensava che il triennio sarrista diventasse quello più importante per l’era De Laurentiis, sotto tutti i punti di vista. Il Napoli è in vetrina, l’allenatore pure. Se ne accorge la Premier (segnatamente il Chelsea), dopo un’annata irripetibile con i partenopei, quella dei 91 punti in campionato. Sarà un addio doloroso, non senza polemiche. Per questo, c’era bisogno di un personaggio forte che rappresentasse un po’ la chiusura del cerchio. Ed ecco che arriva, forse, l’azzardo più grande dell’era De Laurentiis: il simbolo della scuola italiana degli allenatori, Carlo Ancelotti.

All’inizio c’era da smontare quel giocattolo perfettibile e renderlo a sua immagine e somiglianza: serviva tempo. Alti e bassi la prima stagione, una bella performance in Europa ma uno scudetto abbandonato già a novembre. Le premesse per una buona seconda annata c’erano tutte, invece… Quel disegno del viso diventato famoso nel mondo, quel sopracciglio alzato che tanto ricorda il profilo del Golfo di Napoli, ha lasciato anzitempo un progetto ambizioso e di lunga durata.

L’autodifesa e le mansioni a mo di pompiere per stemperare gli animi accesi della tifoseria delusa da fratture interne, ammutinamenti e polemiche di ogni genere non è stata accolta come nelle premesse: Ancelotti esonerato e congedato in un amen, il passaggio del testimone al suo più fedele scudiero e uno sliding doors impensabile fino a qualche tempo fa. Rino Gattuso e il suo “ritorno al  futuro”, un 4-3-3 di stampo sarriano, una sfida che riaccende l’idea di squadra e popolo unito in una sola cosa, “pane al pane, vino al vino” senza fronzoli. In Rino Veritas.

Andrea Fiorentino