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Storie di sport – C’era una volta il W…alter. Mazzarri, Napoli e un declino inesorabile

Mazzarri

L’ultima scena del suo personalissimo film lo vede triste e solitario, in un hotel del Salento, mentre la sua squadra torna a casa (di fatto) senza il suo condottiero. Walter scende dalla giostra dopo una storia in agrodolce col mondo Toro. Non è giusto recriminare su ciò che (non) è stato fatto, perché i tempi sono cambiati e il pericolo di cadere in una spirale di risultati negativi è più concreto che mai. Il tecnico paga le ultime, disastrose sconfitte contro Atalanta e Lecce. Ed ecco che, obtorto collo, arriva la decisione più triste: risoluzione contrattuale. Dopo due anni di luci ed ombre. In un calcio dove si esaspera in un senso o nell’altro quasi tutto, Mazzarri ha cercato di essere sempre misurato: non pensa di guidare eroi dopo vittorie sia pure importanti e prestigiose, non pensa di avere a disposizione brocchi per alcuni insuccessi. Con il lavoro, con i risultati e con l’equilibrio va avanti nel suo lavoro. E così è sempre stato.

Le origini – Nato nel ’61 in quel tratto di costa a sud di Livorno, San Vincenzo, paese di artisti e pescatori, uno dei centri più importanti della Costa degli Etruschi, il piccolo Walter cresce con il pallone tra i piedi. Sogna di diventare un calciatore professionista, viene subito notato, quando è alle giovanili del Follonica, da osservatori della Fiorentina per la sua personalità e la grinta che metteva in campo sin da ragazzino, tanto che i più lo definiscono il “nuovo Antognoni”. Un mediano dai piedi buoni è il giovane livornese che ha girato a lungo l’Italia, senza mai consacrarsi definitivamente. L’amore per il calcio è tanto grande che, una volta appesi gli scarpini al chiodo, inizia la carriera d’allenatore, scrivendo una tesi per l’abilitazione in Prima Categoria. Rimane affascinato dalle sue idee quel vecchio volpone di Renzo Ulivieri che fa di tutto per averlo alle sue dipendenze come vice, prima nel Bologna e poi nel Napoli in serie cadetta; Walter decide poi di mettersi in proprio provandoci in Sicilia, all’Acireale, poi nella sua Toscana, nella Pistoiese, in C1, l’odierna LegaPro. Aldo Spinelli, presidente del Livorno, decide di puntare sul giovane tecnico di San Vincenzo per riportare alla piazza, quella amaranto, entusiasmo e voglia di riscatto dopo tanti anni di purgatorio. Walter non solo risponde “presente” alla causa, ma fa anche di più: riporta in serie A il Livorno e rispolvera talenti in cerca di rilancio come Lucarelli e Protti, protagonisti a suon di gol della promozione labronica. La stagione seguente si presenta ricca di insidie e sfide per il promettente Walter, che accetta il contratto offertogli dalla Reggina di Lillo Foti: mantenere in A la squadra calabrese. Non solo vi riesce il primo e il secondo anno, conquistando un decimo e un quattordicesimo posto, ma sfiora anche la grande impresa, dopo la penalizzazione di 15 punti inflitta alla sua squadra nell’ambito di Calciopoli, di disputare la Coppa UEFA, miracolo che vale a lui e al suo team la cittadinanza onoraria a Reggio Calabria.
Finita l’avventura nello Stretto, cerca nuovi stimoli a Genova, sponda Samp: qui non solo riesce a fare meglio, disputando un ottimo campionato (terminato con la qualificazione in coppa UEFA con due turni d’anticipo), arrivando ad una finale di Coppa Italia persa ai rigori contro la Lazio, ma riesce a gestire, facendolo tornare il campione che era, il triste Cassano dopo l’esperienza madrilena.

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Napoli nel destino – Napoli è un’occasione capitata quasi per caso, come se fosse scritta nel suo libro di vita; prima o poi sarebbe ritornato da protagonista in quella piazza che aveva assaporato da comprimario. Orfana del suo Clint Eastwood (così De Laurentiis amava definire Reja), subentra all’esonerato Roberto Donadoni dopo sette partite di campionato. Walter riesce, sin da subito, ad entrare nel cuore della calda piazza partenopea con una vittoria al fotofinish (contro il Bologna), la prima di tante. Risultati raggiunti in extremis, partite al cardiopalma risolte in un urlo nei minuti finali in quella che, per i tifosi partenopei, smette di essere la zona Cesarini: è iniziata la zona Mazzarri. Con il suo archetipo da duro, con occhi azzurri e miti in netto contrasto con l’atteggiamento freddo e burbero. Qualità che ne fanno una sorta di “Charles Bronson made in Italy”, l’ideale per una compagine focosa come quella di Napoli.
Mazzarri a Napoli e nel Napoli è più di un allenatore, uno stratega quasi, con una precisa filosofia di calcio e di vita. Risulta spesso antipatico agli avversari, perché è uno che non le manda a dire; amato dalla squadra e dai tifosi, un istintivo con l’ossessione del tempo, ma il suo carisma e la sua tigna l’hanno sempre ripagato. Riporta un trofeo a Napoli (la Coppa Italia), disputa un’ottima Champions League e per quattro anni sulla panchina azzurra lotta sempre per le posizioni di vertice (avvalorato dal secondo posto nella stagione prima di salutare).

Vedi Napoli e poi… – Le strade si separano, dopo una favola bellissima. Walter decide di affrontare un’altra avventura. All’Inter di Massimo Moratti, reduce da una stagione molto deludente. Ma fin da subito le cose non vanno nel verso giusto: prima ottiene un mediocre quinto posto in campionato, poi nella stagione successiva viene esonerato – per la prima volta in carriera – prima di Natale e sostituito da Mancini. Dopo un anno di stop torna su una panchina, ma in Inghilterra, nel Watford. In certe piazze non è detto che l’obiettivo stagionale sia necessariamente la vittoria del titolo: in Inghilterra la chiamano The Magic Forty. Nonostante una salvezza conquistata con largo anticipo e alcune vittorie di prestigio con una squadra abbastanza modesta, non è mai riuscito a entrare nel cuore dei tifosi, anche per “colpa” di quella lingua inglese con cui non ha mai avuto piena confidenza. Niente sembrava presagire quello che poi è avvenuto: né le belle parole, né i risultati sul campo sono bastati a far proseguire il matrimonio tra Mazzarri e la squadra inglese di proprietà dei Pozzo. Da qui la decisione di giungere consensualmente ad una conclusione: a fine stagione le strade si dividono. Un esonero, il secondo in carriera e consecutivo. L’ultima scena del suo personalissimo film lo vede triste e solitario, in un hotel del Salento domenica scorsa, mentre la sua squadra torna a casa (di fatto) senza il suo condottiero. Walter scende dalla giostra dopo una storia in agrodolce col mondo Toro. Non è giusto recriminare su ciò che (non) è stato fatto, perché i tempi sono cambiati e il pericolo di cadere in una spirale di risultati negativi è più concreto che mai. Il tecnico paga le ultime, disastrose sconfitte contro Atalanta e Lecce. Ed ecco che, obtorto collo, arriva la decisione più triste: risoluzione contrattuale. Dopo due anni di luci ed ombre. In un calcio dove si esaspera in un senso o nell’altro quasi tutto, Mazzarri ha cercato di essere sempre misurato: non pensa di guidare eroi dopo vittorie sia pure importanti e prestigiose, non pensa di avere a disposizione brocchi per alcuni insuccessi. Con il lavoro, con i risultati e con l’equilibrio va avanti nel suo lavoro. E così è sempre stato.

Andrea Fiorentino

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