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Il ricordo del Grande Torino ai tempi del Covid: Superga deserta e flash mob dai balconi

Sono trascorsi 71 anni dalla tragedia, quando in un incidente aereo scomparve la squadra più forte del mondo. Ma la storia non finì su quella collina di Superga. Chiunque abbia amato un po’ il calcio, che abbia oggi dodici o novant’anni, ha “vissuto” la leggenda del Grande Torino. Uno dei simboli del ritorno alla pace dopo le tragedie della guerra, che aveva contribuito a ricostruire la nostra immagine all’estero, dopo il ventennio di dittatura fascista e la disgraziata decisione di Mussolini di aggredire la Francia e di allearsi alla Germania nazista. Non si salvò nessuno da quel tremendo impatto: 18 calciatori, 6 tra allenatori, dirigenti e massaggiatori, 3 giornalisti e 4 componenti dell’equipaggio. Il dolore di un’Italia intera appena uscita dal più grande conflitto armato della storia, in lotta per ricostruirsi, che si sentì granata per piangere questi eroi.

Il ricordo del Grande Torino ai tempi del Covid: Superga deserta e flash mob dai balconi

Aveva vinto uno scudetto nel 1942-43 e poi quattro di seguito nella ripresa post-bellica del campionato di serie A. Non c’era ancora la Coppa dei Campioni certo, ma questa magnifica squadra deliziava anche le platee internazionali, giocando spesso all’estero grazie a inviti provenienti da società sportive che erano certe di poter contare su uno stadio da tutto esaurito.

La Torino granata (e non solo) ricorderà sempre una delle squadre più forti mai esistite, anche se il Covid-19 ha stravolto pure la giornata più sentita da tutto il suo popolo. Superga deserta: nessuna messa, nessuna lettura dei nomi alla lapide da parte del capitano di turno (negli ultimi tre anni il Gallo Belotti), nessun tifoso: un rito laico e magico che non potrà ripetersi, a causa del divieto di assembramenti. Nessuna celebrazione dunque, per il lockdow decretato dal governo. Ognuno sarà capitano, il rito da collettivo diventa privato ma non perde la forza, mito immortale che resiste a tutto, anche ad un virus bastardo.

Andrea Fiorentino

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