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Napoli, non si vive di soli ricordi: Osimhen mima il 5-1 del maggio scorso, ma…

Dopo la sconfitta contro la Juve, il gesto del 5-1 di Osimhen rappresenta quella propensione, molto napoletana, di vivere nel passato, accontentandosi. Ma lo sport si vive nel presente… Lo riporta Gazzetta, a firma di Marco Ciriello

Napoli, non si vive di soli ricordi: Osimhen mima il 5-1 del maggio scorso, ma…

Osimhen dopo il fischio finale di Juve-Napoli ha indicato con le mani alla curva della Juventus il risultato dello scontro diretto della scorsa stagione.

Nelle mani di Victor Osimhen che, dopo la sconfitta, ricordano allo Stadium e ai tifosi della Juventus il 5-1 della passata stagione c’è tutta l’esplicitazione della sindrome “era de maggio”. La propensione, molto napoletana, di vivere nel passato, creandosi una bolla isolante rispetto al presente, accontentandosi.

Anni fa Julio Velasco riassunse in “chi vince festeggia, chi perde spiega”, una delle cose da non fare, allevando una generazione che non parlava davanti agli errori, risultando forte anche nella sconfitta. Quando Osimhen mima il 5-1 si sta assolvendo, si compiace e fa compiacere i tifosi, aggrappandosi a un evento passato, in un presente che va maluccio. Osimhen ha l’attenuante dell’età e la frustrazione di non segnare (da due mesi), in una partita dove la Juventus ha scelto una strategia di sottrazione, ripiegamento e rimando che ha funzionato ancora una volta. Va così. Se perdi e non spieghi e non compiaci ti mostri forte, se perdi e ti metti a recitare il passato mostri tutta la debolezza che possiedi.

È evidente che il Napoli è perso nei ricordi, e appena prova a staccarsene arriva la lunga onda dei festeggiamenti: ieri la cittadinanza onoraria a Luciano Spalletti, domani il libro su Khvicha Kvaratskhelia, dopodomani la proiezione del venticinquesimo documentario sullo scudetto e via così, in un continuo rosario di evocazione del passato che risucchia il presente, non lasciandogli mai spazio. Va dato atto a Rudi Garcia di aver provato – con linguaggi, opzioni e comportamenti sbagliati – a opporsi alla sindrome “era de maggio”, procurandone una dipendenza maggiore: da Kvara a Osimhen, da Di Lorenzo a Politano fino ad Aurelio De Laurentiis. Non era cancellando Spalletti e i suoi canoni calcistici che si riportava la squadra a una nuova vittoria. Infatti, Walter Mazzarri ha cominciato proprio puntellando le certezze, riannodandosi al gioco e non al ricordo delle vittorie. Non è rievocando le partite della passata stagione che si rivincerà lo scudetto, perché a forza di giocare con la testa rivolta al passato non si vede arrivare il futuro.

Come ricordarsi che prima nell’area di rigore c’era Kim Min-jae e non si prendevano tre gol di testa su cross prevedibilissimi. Accettata la mancanza, invece di ricordarsi del muro sudcoreano, conviene cercare un muretto giapponese per gennaio. Serve una grande operazione di ricollocamento temporale. Tutti siamo stati il grande amore di qualcuno e abbiamo avuto un anno meraviglioso nel quale vorremmo vivere per sempre, il trucco sta nel ricordarsene nelle cene con gli amici, non mentre continuiamo a cercare d’essere straordinari.

Il Napoli si è costruito una stanza dei ricordi e più tempo passa più cresce il ricordo, e più cresce il ricordo più è difficile staccarsene. È andato avanti così 33 anni, convincendosi che i sette anni maradoniani fossero meglio delle Champions League del Real Madrid, o che il bel gioco fosse meglio del vincere (preferendo poi il bel gioco che vince), e si può anche dimostrare – filosoficamente – la superiorità di questo pensiero debole, ma lo sport è un’altra cosa: vive dell’attimo che si consuma, e si deve consumare alla ricerca della gioia e della vittoria.

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