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Maradona, il fratello Lalo: “Sogno Diego tutte le notti, dopo Napoli non è stato più felice…”

All’ultimo dei fratelli Maradona sono rimasti soltanto i ricordi. Per i latini, il cuore era la sede della memoria: re-cordis, tornare al centro dell’anima. È da lì che passa ogni cosa, riporta la Gazzetta dello sport: “Sogno Diego tutte le notti. Nei miei pensieri è vivo, ci invita a mangiare l’asado e si preoccupa per la famiglia”.

Maradona, il fratello Lalo: “Sogno Diego tutte le notti, dopo Napoli non è stato più felice…”

Lalo Maradona è quello che il Pibe de Oro definiva il migliore dei tre fratelli: “Lo ripetevano in continuazione lui e Hugo. La verità è che mi volevano molto bene. Pelu, come lo chiamavo io, era un marziano. Lo abbiamo capito subito, da quando nell’unica stanza della casa di Villa Fiorito accartocciavamo i fogli di giornale per farci un pallone. Non avevamo i soldi per comprarne uno”.

Raul è rimasto accanto a Diego per tutta la vita: “Sono nato sei anni dopo. Ho vissuto la sua carriera osservandolo dietro la porta. Dal campetto dell’Estrella Roja allo stadio Azteca in quel pomeriggio del 29 giugno 1986”. Ex giocatore, oggi Lalo allena i bambini in una scuola calcio di Buenos Aires: “Non serve che gli racconti il cognome che porto. Nessuno di loro ha mai visto Diego, ma tutti glielo hanno raccontato”.

Diego mi insegnato a essere felice in campo. Quando ha smesso, non lo era più

E lei, cosa racconta ai piccoli che allena?

“Provo a insegnargli quello che ho imparato io da Diego: essere felici in campo. Quando ha smesso, non lo era più. Noi gli siamo sempre stati vicino. Parlavamo, mangiavamo insieme. Portava tanti regali ai miei figli. Aveva un cuore enorme”.

Un valore che i vostri genitori vi hanno insegnato fin da piccoli.

“Papà ha fatto il barcaiolo e poi l’operaio. Si alzava alle 3 di notte, lavorava dalle 6 fino alle 14. Tornava a casa e accompagnava Diego agli allenamenti. Faceva il magazziniere in una piccola squadra dietro l’angolo di casa, si chiamava Estrella Roja”.

Quando vi siete accorti per la prima volta del talento di Diego?

“Di fronte casa c’era un parcheggio di terra battuta. Invitavamo gli amici di Diego a giocare, loro avevano il pallone. Eravamo sempre in strada. La nostra era una casa piccola, dormivamo in cinque nella stessa stanza. Pelu palleggiava con qualsiasi cosa: arance, patate, palle da tennis”.

È vero che vostro padre non si perdeva mai un allenamento di suo fratello?

“Dopo il lavoro papà, io e Diego prendevamo due bus per raggiungere la sede dell’Argentinos Juniors. A volte tornavamo anche di notte. Diego non voleva mai andare via. Per nostro padre è stata dura, ha sempre dormito poco. Ma non voleva perdersi nulla di mio fratello”.

Lei ha visto Diego segnare centinaia di gol. C’è n’è uno che proprio non dimenticherà mai?

Il gol del secolo? Argentinos Juniors-Huracan, Diego aveva 17 anni, altro che quello all’Inghilterra…

“Il mio preferito è quello del 31 luglio 1977, Diego aveva 17 anni e con l’Argentinos Juniors sfidava l’Huracan. Non esiste un video di quel gol, solo qualche frame in bianco e nero dell’ultimo dribbling. Parte da metà campo, fa cadere quattro giocatori, mette a sedere il portiere. Tra lui e la porta c’è Jorge Carrascosa, difensore della nazionale. Gli fa passare la palla sotto le gambe e segna. Più bello del gol del secolo contro l’Inghilterra”.

In quel momento Diego è diventato Maradona.

“Qualche mese prima il presidente dell’Argentinos Juniors era venuto a Villa Fiorito con un mazzo di chiavi in mano. Diego gli aveva chiesto una casa nuova per la famiglia a Villa del Parque. Così ci siamo trasferiti. I tempi difficili erano finiti”.

Grazie a suo fratello, anche lei è diventato un calciatore professionista.

“Ma non avevo voglia di allenarmi. Dopo due o tre mesi, lasciavo il club in cui ero per seguirlo. Avrei dovuto lavorare meglio. Sono stato insieme a lui al Boca, al Barcellona e pure a Napoli”.

Prima di arrivare in Europa, suo fratello fa piangere il River Plate.

“E chi se lo dimentica. Era un venerdì piovoso, il campo del Monumental pieno di fango. Pelu giocò il suo primo Superclasico e zittì pure il portiere Fillol”.

Il giorno della presentazione al San Paolo fu incredibile. Mai vista tanta gente

Sul primo giorno di Diego a Napoli
Mentre lei comincia nelle giovanili del Boca Juniors, Diego è al Barcellona.

“Purtroppo ha giocato poco in blaugrana. Prima per l’epatite e poi per quell’entrata killer di Goikoetxea. Ero allo stadio insieme a sua moglie Claudia Villafane quando si rompe la caviglia. Corriamo negli spogliatoi e lo troviamo in lacrime. Quello è stato il momento in cui Diego ha sofferto di più in tutta la sua vita. Giuro di non averlo mai più visto così”.

Poi arriva la chiamata di Ferlaino.

“Nei primi giorni a Napoli avevamo una stanza in uno degli alberghi sul lungomare. Io, Diego e Hugo guardavamo il Castel dell’Ovo e ci innamoravamo. I tifosi erano in delirio. Non avrei mai pensato che così tanta gente potesse radunarsi soltanto per vedere mio fratello. La presentazione al San Paolo è stato un momento incredibile. Dovevamo camminare lontani da lui per tutta la folla che c’era”.

Qual è il ricordo più bello che ha di suo fratello al Napoli?

“Il primo scudetto. Io e Hugo eravamo dietro la porta del San Paolo. Diego è venuto ad abbracciarci subito dopo il fischio finale. Poi con tutta la squadra e le famiglie dei calciatori abbiamo festeggiato su uno yacht enorme al largo. Era l’unico modo per non essere assaliti dai tifosi”.

A Napoli dovevamo fare la spesa in piena notte. Di giorno era impossibile

“Altrimenti bloccavamo la città. Per fare la spesa oppure comprare qualcosa alle sue figlie, dovevamo andare in piena notte. Di solito, il lunedì era il giorno libero. Prendevamo la barca e andavamo a Positano, Ischia, Capri. Per vivere una mezza giornata tranquilla in famiglia”.

Poi nell’86 si avvera il sogno.

“Soltanto mio padre era in Messico con lui. Noi siamo rimasti in Argentina. Io li ho raggiunti per la finale. Voller pareggiò all’81’, papà voleva uccidermi. Poi per fortuna è andata bene. Siamo tornati in aereo con la squadra. Diego era diventato un Dio, in Argentina si parlava soltanto di lui”.

L’anno dopo i fratelli Maradona si riuniscono e diventano compagni di squadra (vedere la foto in primo piano, ndr) per un pomeriggio.

“In vista del mio trasferimento al Granada, Pelu organizzò un’amichevole con me e Hugo. Mi consegnò la 10, lui indossava la 9. Mi servì un assist e lui segnò un gol da calcio d’angolo. Sfidammo il Malmo di Roy Hodgson. C’era tutta la nostra famiglia allo stadio. Diego era già al Napoli, pagò un’assicurazione per giocare. Come quella volta ad Acerra”.

Chiusa l’esperienza al Napoli, lei ha conosciuto un altro Diego.

“Hanno fatto di tutto per fargli lasciare l’Italia. Dopo Napoli, non era più felice. Qualcosa è cambiato nella sua vita. Si allenava per non restare fermo, ma non bastava”.

Lei gli è sempre stato vicino?

“Sempre, non l’ho mai lasciato solo”.

E quel 25 novembre 2020?

“Ero stato all’ospedale qualche giorno prima. L’ho visto subito dopo l’operazione, era sedato, non potevo parlarci. Tutti eravamo convinti che si fosse ripreso, come faceva sempre. Stava male e dopo qualche settimana tornava a essere il solito Diego. E invece…”.

Purtroppo non è andata così.

“Mia sorella mi telefonò dicendomi di raggiungere casa di Diego. Nessuno voleva dirmi cosa fosse successo. Arrivai fuori la porta e un poliziotto mi strinse la mano dandomi le sue condoglianze. Rimasi immobile per qualche secondo. Poi iniziarono ad arrivare le persone, piangevano tutti. Ma erano lì per lui. Anche da morto”.

Le capita spesso di pensarlo?

“Lo sogno tutte le notti. È qui con noi, non se n’è mai andato. La scorsa estate ho portato i miei figli a Napoli. Siamo andati a vedere il suo murales ai Quartieri Spagnoli. E poi sul lungomare, di fronte al Castel dell’Ovo. Mi è sembrato di rivivere il primo giorno in città con Diego e Hugo. Ho nel cuore il loro ricordo, sono sicuro che non mi abbandonerà mai”.

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