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Seid Visin e la straziante lettera d’addio: “Tutti mi amavano, adesso tutto si è capovolto”

L’ex calciatore delle giovanili di Milan (con Gigio Donnarumma) e Benevento, si è tolto la vita nella sua casa, a Nocera Inferiore, dopo aver denunciato, in una lettera, il clima di razzismo che sentiva intorno. Aveva appena vent’anni. Il suicidio risale a due giorni fa, ma la notizia è stata confermata solo oggi.

Seid Visin e la straziante lettera d’addio: “Tutti mi amavano, adesso tutto si è capovolto”

La morte del ragazzo, nella sua dinamica, è drammaticamente chiara. Oggi la cerimonia funebre dopo il suo canto d’addio. Ci sono comunque tanti retroscena da esplorare, per capire i veri motivi alla base di questo gesto estremo. E uno dei punti oscuri della vicenda è perché il giovane abbia scelto quel modo orrendo per morire. Seid era nato in Etiopia, ma piccolissimo, è stato adottato da una coppia di Nocera Inferiore. I suoi sorrisi, la sua voglia di vivere, il calcio e poi la scelta di una vita “normale”. L’altro ieri è stato trovato, senza vita, nella sua abitazione. Nessun malore, ma una verità tragica che fa malissimo. Uno dei retroscena li ha indicati proprio Seid, quasi due anni fa, inviando una lettera agli amici più cari e a Rita D’Antuono D’Ambrosio, la psicoterapeuta che lo teneva in cura. Leggerla adesso è un pugno allo stomaco, perché fa capire il motivo più crudo della sua scomparsa.

Ecco le sue parole: “Sono stato adottato da piccolo. Tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone.” E prosegue: “Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani non trovassero lavoro. Dentro di me è cambiato qualcosa. Come se mi vergognassi di essere nero.” E conclude: “Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente vita“.

Siamo alla fine della corsa. E il caso Seid Visin non è fatalità: è un omicidio bello e buono. Il colpevole è chiaro: la cattiveria di questi tempi. Perché, come ricordava Goethe, niente è più terribile di un’ignoranza attiva. Scusa, Seid.

Andrea Fiorentino

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