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Samardzic, il friulano e i suoi “fratelli”: quando Napoli diventa teatro dei gol della vita

Il più bel gol della loro vita? Citofonare Napoli, via Jacopo de Gennaro, quartiere Fuorigrotta e fermarsi a contemplare quel perimetro magico di 68 metri per 110. Sarà lo spirito di Maradona, lì dove tutto chiede bellezza, uno spirito evocato ovunque, che aleggia soprattutto in questo stadio che era il San Paolo e che ora si chiama con il suo nome. O forse sarà l’aria di Napoli, la brezza del golfo, il silenzio mistico del Vesuvio che regna sulla città. Lo riporta la Gazzetta dello sport.

Samardzic, il friulano e i suoi “fratelli”: quando Napoli diventa teatro dei gol della vita

Sarà quel che sarà, resta il fatto che quando un calciatore gioca – da avversario – a Napoli prima o poi segna un gol da cineteca. E spesso quel calciatore scoprirà che quello è il gol più bello di tutta la sua carriera. Ci sono buone possibilità che ciò accada anche per Samardzic, che ieri in Napoli-Udinese 4-1 ha segnato il gol della bandiera. Ma che gol, ma che spettacolo, ma che bandiera piantata sulla nostra memoria. Samardzic è partito da molto lontano, almeno quaranta metri. Ha indovinato la luce in fondo al corridoio, ha saltato in rapida successione cinque avversari, ha chiesto l’uno-due al compagno come lo si chiedeva al muro della nostra cameretta da ragazzini e ha beffato l’ultimo difensore con un colpo di suola di finissimo magistero, per poi calciare – di destro, nemmeno il suo piede dominante – e segnare un gol che non dimenticheremo facilmente, proprio no.

Ed è un quadro – quello di Samardzic – che entra a tutto diritto nella galleria di opere d’arte che a Napoli hanno trovato residenza. Escludendo i campioni che la maglia del Napoli l’hanno vestita – da Maradona a Kvaratskhelia, da Sivori a Osimhen – proviamo qui a ripercorrere il filo dei gol che valgono una vita, segnati da chi è arrivato e poi se n’è andato, non prima di aver consegnato agli amanti del Calcio una goccia di splendore. Perché è vero: Napoli è come il “Campo dei sogni”, quello che costruisce davanti alla sua fattoria Kevin Costner ne “L’uomo dei sogni”, (ma il titolo originale è più esplicativo: “Field of dreams”).

Lì era baseball, qui è calcio. Lì una pallina, qui un pallone. Ma il senso è lo stesso, perché parliamo di un campo-scrigno che custodisce i ricordi più belli. E quindi tutti i gol di Maradona (anche quelli meno belli erano bellissimi), quasi tutti quelli di Sivori, quel gol di Gianfranco Zola – marzo del 1990 contro il Genoa – quando – lui così piccolo in mezzo ai giganti – fece la “bicicletta” e spedì il pallone in rete, ma pure il più bel gol della carriera di Paolo Di Canio. Era un Napoli-Milan del marzo 1994 e Di Canio scattò in contropiede, ricamò dribbling sulla linea di fondo, ubriacò di finte Baresi e Panucci e poi segnò, con un terra-aria di sinistro sotto l’incrocio.

Robi Baggio apparve a Napoli, per esempio. Il 10 maggio 1987 – giorno dello scudetto del Napoli – segnò il suo primo gol in Serie A: punizione bassa, nell’angolino. Ma il gol più bello porta un’altra data. 17 settembre 1989, Napoli-Fiorentina, Robi era ancora un ragazzino eppure aveva ginocchia su cui era incisa la mappa del dolore. Partì dalla propria metàcampo, erano passati appena ventidue minuti. Tenne a distanza Alemao – o più probabilmente il brasiliano non immaginò ciò che stava per compiersi – saltò di netto Renica, evitò il tackle di Corradini, si presentò davanti a Giuliani, lo mise a sedere con una finta e segnò un gol memorabile, che innescò la standing ovation del San Paolo. Qualche anno fa a “Che tempo che fa”, Robi ha raccontato: “Credo sia il mio gol più bello perché mi ha dato la possibilità di capire che potevo andare oltre i miei limiti in quel momento e poi mi ha insegnato che, dal giorno dopo, dovevo cominciare a preoccuparmi perché cambiavano le mie responsabilità”.

Roberto Mancini di gol belli ne ha fatti a decine, era nella sua natura. Ma il più bello – per acclamazione popolare e per sua stessa ammissione – l’ha segnato in un Napoli-Sampdoria 1-4 nell’anno dello scudetto blucerchiato, il 1990. Su un cross dalla destra del suo amico Lombardo, il Mancio si mette – letteralmente – in posa, come se dovesse sfoderare un colpo di karatè. Accade tutto in maniera velocissima. Il tiro al volo, scoccato proprio sulla linea di gesso dell’area di rigore, è pressoché perfetto: di destro, quando sarebbe stato molto più semplice cambiare postura e calciare di sinistro. Ne esce una traiettoria disegnata con il righello. Botta tremenda sul palo, palla in rete. Se riguardate con attenzione quel gol, persino la maglia di Mancini cede alla forza di gravità con una eleganza senza pari. A Napoli, qualche anno prima, il fratello di sangue del Mancio, Luca Vialli, aveva segnato probabilmente il suo più bel gol in Nazionale. Italia-Svezia, l’anno era il 1987, finì 2-1 e quella vittoria portò gli azzurri agli Europei. Vialli entrò in area sulla sinistra e – quasi sulla linea di fondo – calciò in porta di esterno collo, con il piede mancino. La palla pizzicò la traversa e si adagiò in rete. Voleva crossare? Lui disse di no, dobbiamo credergli.

Anche perché – dopo il pareggio svedese – concesse un’altra perla: botta al volo, con pallone che rimbalzò a terra e andò a sbattere – di nuovo – sulla traversa (nello stesso punto di prima) per poi finire in rete. Rimanendo in ambito azzurro, il più bel gol di Gigi Riva in Nazionale è quello segnato il 22 novembre del 1969 alla Germania Est, allora Ddr. Indovinate un po’ dove avvenne? A Napoli. 3-0 per l’Italia, ma più del risultato sugli almanacchi è il tuffo di testa di Rombo di Tuono – a volo d’angelo, su cross dalla destra – a rimanere impresso nella memoria. Sempre al San Paolo Vialli segnò – da juventino, in un Napoli-Juventus del 4 ottobre 1992 – un gol fuori catalogo, bellissimo anche questo. Su punizione, lui che le punizioni non le calciava (quasi) mai. Parabola ad effetto, incrocio dei pali. Ai cronisti che gli chiedevano perché non calciasse più spesso le punizioni, Vialli rispose tra il rassegnato e l’ironico: “Io le punizioni le tiro benissimo, ma ci sono delle gerarchie e nella Juventus le punizioni le deve tirare Baggio”.

Francesco Totti a Napoli – nell’anno dello scudetto della Roma – realizzò un gol da manuale del calcio: stop di petto a eludere l’intervento del difensore avversario, pallone che rimbalza sul terreno e tiro di interno collo nell’angolino. Era la penultima giornata di campionato, con quel pareggio (2-2) la Roma andò con l’anima in spalla a prendersi il terzo tricolore della sua storia, la domenica successiva all’Olimpico contro il Parma. L’abbiamo detto: sarà l’aria di Napoli a favorire certi gol-capolavoro. Nella lista va aggiunto anche Ibrahimovic che in un Napoli-Milan 1-3 del 2020 – in pieno periodo Covid e con lo stadio praticamente vuoto – segnò un metro dentro l’area impattando perfettamente con una incornata a girare un cross dalla sinistra di Theo Hernandez. Vista e rivista, la spaventosa torsione del collo di Ibra – in qualsiasi altro essere umano – avrebbe provocato un torcicollo da competizione.

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